“Il 65enne, G.R., aveva vinto la sua battaglia contro il cancro del colon. Un anno dopo l’ultima chemio, gli esami strumentali non rilevarono alcuna ripresa di malattia e ne’ altri organi furono interessati. Dunque, la moglie e i tre figli ancora giovani, potevano ben sperare per il futuro del loro amato. Purtroppo, sei mesi più tardi, un restringimento del moncone colico, costrinse G.R. a recarsi nuovamente presso il nosocomio ove era stato operato. Lì, i sanitari, rinunciando scientemente all’esecuzione di esami meno rischiosi per il paziente, portatore di un restringimento dell’intestino, gli praticarono una colonscopia. Già durante l’esame, il paziente avvertì un forte dolore.
Dolori che diventarono via via sempre più ingravescenti. Solo sette ore la fine dell’esame endoscopico, i sanitari finalmente decisero di effettuargli una tac che rilevò la lesione dell’intestino provocata durante l’esame. A nulla valse l’intervento chirurgico riparatore effettuato a distanza di altre 2 ore. Il paziente spirò in sala operatoria.
L'accurata analisi di tutta la documentazione sanitaria, anche quella relativa al trattamento della neoplasia, ha consentito, allo staff medico di dalla tua parte, di accertare, che in primis la colonscopia tradizionale non era indicata per la conformazione del moncone che era quasi invalicabile e poi, la complicanza insorta durante la colonscopia è stata gestita male e con notevole ritardo. Un tempestivo intervento esplorativo avrebbe rilevato la lesione che anch’essa tempestivamente suturata consentendo al povero G.R. di vivere ancora molti anni.
Dopo alcuni anni di confronti giudiziari e medico-legali la famiglia, seppur per equivalente, ha ottenuto giustizia”